Negli ultimi anni si sente parlare sempre più spesso di climate labeling ed etichette climatiche. Questo perché i consumatori chiedono maggior trasparenza nelle etichette alimentari, non solo per quanto riguarda i valori nutrizionali ma anche per quanto riguarda l’impatto ambientale dei prodotti acquistati.
Secondo gli esperti, la cosiddetta climate labeling potrebbe diventare una valida soluzione per guidare il consumatore verso un acquisto più eco-consapevole. Non da meno, potrebbe dare un’importante spinta alla transizione ecologica del settore alimentare, uno dei primi responsabili delle emissioni di gas serra. L’etichetta climatica mostrerebbe l’impatto ambientale in termini di emissioni di CO2 dell’intero ciclo produttivo dell’alimento: dalla produzione della materia prima alla trasformazione del prodotto, dall’imballaggio fino al trasporto.
Ad oggi, sono già presenti alcuni esempi di climate labeling, seppur sia da considerare un processo in via di sperimentazione. Nel 2020 in Svezia l’esperimento di un Climate Store e la sua “etichetta intelligente” ha ottenuto un grande successo. Nel 2021 in Francia ha fatto capolino l’Eco-Score, l’etichetta ambientale a semaforo. Anche in Italia l’attenzione è alta. Già nel 2019, infatti, uno studio del Carbon Trust sosteneva che ben l’85% degli italiani era favorevole all’indicazione in etichetta dell’impatto ambientale della produzione degli alimenti. Ci sono quindi dei buoni presupposti per il prossimo futuro. Il climate labeling potrebbe rivelarsi un valido strumento per i consumatori stanchi dell’ecologismo di facciata e sempre più attenti a dati chiari, certi e verificati.